E ci sono i sentimenti che esondano da ogni elemento naturale o perdita di sé, dal pensiero come dall'osservazione, o dall'immaginazione che si fa forma in un luogo e in un tempo di cui non ci è dato sapere.
La ricostruzione di autunni che sono anche “spicchi” per il conteggio degli anni in una vita anziana; la preparazione all'arrivo dell'inverno, l'attaccamento a quel sentimento di tristezza che va al di là della volontà per il suo lasciar scorrere le vite più sospese, delicate, sensibili ai sussurri sottili del tempo.
Le poesie di Marta Celio sono una corda tesa tra innesti eruditi e semplicità abbagliante. Da quel “murcido”, parola nascosta ai più nei dizionari di lingua italiana, fino al “solo” che occupa un intero verso nella poesia “Il giorno”.
Nulla pare casuale, per quanto sembri essersi inarcato nel foglio con naturalezza limpida e sottile. Figure come il “balocco di carne” preludono all'arrivo di nuove parole leggere, come se la poetessa in primis si fosse spaventata di fronte al terreno a cui stava inconsapevolmente alludendo. Delle aperture che vanno in una direzione più forte per poi essere riprese e riportate ad uno stato di equilibrio sottile. Questo, semplicemente.
L'incontro con Marta Celio mi ha fatto pensare ad uno di quei momenti in cui nel bosco incontri due occhi, e allora capisci che devi essere di fronte a qualcosa che nemmeno tu riesci bene a definire, ma sai di trovarti davanti ad una creatura che può racchiudere mille segreti, nascosti nel buio arboreo che vi circonda. Due occhi dietro cui sta una figura eterea, che ha prestato sembianze umane ad un flusso di pensieri, emozioni, capacità recettive.
La ricostruzione di autunni che sono anche “spicchi” per il conteggio degli anni in una vita anziana; la preparazione all'arrivo dell'inverno, l'attaccamento a quel sentimento di tristezza che va al di là della volontà per il suo lasciar scorrere le vite più sospese, delicate, sensibili ai sussurri sottili del tempo.
Le poesie di Marta Celio sono una corda tesa tra innesti eruditi e semplicità abbagliante. Da quel “murcido”, parola nascosta ai più nei dizionari di lingua italiana, fino al “solo” che occupa un intero verso nella poesia “Il giorno”.
Nulla pare casuale, per quanto sembri essersi inarcato nel foglio con naturalezza limpida e sottile. Figure come il “balocco di carne” preludono all'arrivo di nuove parole leggere, come se la poetessa in primis si fosse spaventata di fronte al terreno a cui stava inconsapevolmente alludendo. Delle aperture che vanno in una direzione più forte per poi essere riprese e riportate ad uno stato di equilibrio sottile. Questo, semplicemente.
L'incontro con Marta Celio mi ha fatto pensare ad uno di quei momenti in cui nel bosco incontri due occhi, e allora capisci che devi essere di fronte a qualcosa che nemmeno tu riesci bene a definire, ma sai di trovarti davanti ad una creatura che può racchiudere mille segreti, nascosti nel buio arboreo che vi circonda. Due occhi dietro cui sta una figura eterea, che ha prestato sembianze umane ad un flusso di pensieri, emozioni, capacità recettive.